Non c’erano solo uomini a combattere lungo il fronte alpino nel corso della Prima Guerra Mondiale. C’erano anche migliaia di animali, molti “arruolati” per contribuire allo sforzo bellico, fra cui naturalmente i cavalli, ma anche moltissimi cani, muli e colombi viaggiatori, e innumerevoli sgraditi compagni di trincea, come topi, ratti e pidocchi.
Folco Quilici ricostruisce da par suo la storia dell’apporto animale al conflitto bellico (e della coabitazione forzata fra militari e parassiti), raccogliendo rare immagini di repertorio che ci mostrano cavalli rastrellati dalle campagne attraverso la leva equina e cani tolti ai padroni per addestrarli a trainare slitte in mezzo ai ghiacci, segnalare la presenza di gas letali, individuare mine antiuomo e corpi sepolti dalle valanghe; muli adibiti al trasporto di cibo, acqua, munizioni, cucine da campo, parti smontate dei cannoni; volatili imbattibili in velocità e senso dell’orientamento e dunque incaricati di recapitare i “colombigrammi” per collegare il comando alle prime linee.
Oltre all’abnegazione di questi animali “reclutati”, più di metà dei quali non ha mai fatto ritorno dal fronte, il documentario di Quilici pone l’accento sul “rapporto profondo, intimo” fra loro e i soldati, un legame improntato alla mutua sopravvivenza in cui uomo e animale diventavano indispensabili l’uno all’altro. Perché queste creature docili e disponibili erano anche una “valvola di sfogo ai sentimenti”, oltre che preziosi alleati. Il racconto delle loro imprese passa attraverso le immagini dell’Istituto Luce – Cinecittà ma anche da numerose ricostruzioni filmiche e dalla lettura in voce fuori campo di lettere e diari dei combattenti, che contribuiscono a creare il ritratto di una guerra a metà fra il futuro tecnologico e l’eredità ottocentesca di un mondo rurale di cui gli animali erano parte integrante nella quotidianità. I conflitti più recenti li avrebbero sostituiti con mezzi moderni, lasciando così ancora più soli i militari asserragliati lungo la linea del fronte.
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