Stefano è un terapista di coppia che si è appena separato dalla moglie. Claudia è un avvocato divorzista e madre single con figlio preadolescente. I loro studi, con annessa abitazione, si ritrovano sullo stesso pianerottolo. L’antipatia (e attrazione) reciproca sono immediate, e a queste si aggiunge la rivalità professionale quando i pazienti dell’una cominciano a rivolgersi all’altro, e viceversa. Ma questa, fin dall’inizio, si identifica come una commedia romantica, e dunque i poli opposti del titolo sono destinati ad avvicinarsi.
Max Croci debutta alla regia con un film chiaramente ispirato alla sophisticated comedy americana, tenendo conto anche di tutte le sue rivisitazioni più recenti (un esempio per tutti: Prima ti sposo poi ti rovino dei fratelli Coen), e la messinscena denota gusto, ritmo e una buona comunicazione con gli attori, anche se l’inserimento di alcuni elementi grafici e di qualche espediente cinematografico come lo split screen, inseriti proprio per accentuare le similitudini fra Poli opposti e le commedie romantiche della Hollywood degli anni d’oro, avrebbe dovuto essere strutturale (vedi Abbasso l’amore) e non sporadico.
Quel che difetta al film però è una sceneggiatura solida, il che non sorprende visto che ci sono ben 16 mani (ovvero otto diversi sceneggiatori) dietro un copione che avrebbe grandi potenzialità comiche e romantiche e invece si perde per incoerenza e scarsa attinenza alla realtà. Per fare qualche esempio, il personaggio di Claudia non avrebbe alcun bisogno di essere “una iena” e di gestire la propria professione con tanta acidità, quando nel privato la donna rivela un lato soft assai sviluppato: il contrasto fra il suo lavoro e quello di Stefano è già insito nella natura speculare e contraria delle rispettive professioni, e se anche lei praticasse la sua semplicemente con serietà e rigore ci sarebbe spazio per raccontare il dolore che sta dietro la sua scelta di occuparsi di rotture coniugali mettendosi sempre dalla parte delle donne. Stefano, dal canto suo, non sembra avere alcun “difetto fatale” tanto è saggio, equilibrato e intelligente, e dunque quando la trama crea un attrito fra i due non può fare leva su una specifica debolezza caratteriale dell’uomo: il che rende l’attrito artificiale e, per un film che si basa sul contrasto simmetrico fra i due protagonisti, questo è inaccettabile.
Peccato perché la chimica fra i due attori protagonisti è ottima, ed entrambi fanno il massimo per dare calore e colore alle rispettive interpretazioni. Sarah Felberbaum dovrebbe lavorare per eliminare dalla sua voce quella nota stridula che contrasta con la morbidezza gentile della sua recitazione, visibile anche quando recita in ruoli da dura. Luca Argentero si candida a diventare il Cary Grant (o il George Clooney) della commedia italiana contemporanea: se avesse accesso a uno sceneggiatore alla Adam Rifkin o alla Howard Hawks, la sua carriera prenderebbe il volo.
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