A qualche anno di distanza dai fatti occorsi alla famiglia Oswalt, trucidata in circostanze misteriose, l’ex-poliziotto So & So non si rassegna e continua a indagare sui possibili legami tra diversi casi di omicidio che presentano delle macabre somiglianze. Sembra che le prossime vittime del demone Bughuul – evocato da un rito che prevede il sacrificio di una famiglia per mano di uno dei figli – siano Courtney e i suoi due figli Dylan e Zachary, trasferitisi in un’abitazione già oggetto di una strage orchestrata da Bughuul.
Sinister non rappresentava certo una rivoluzione in ambito horror: prendendo di peso ispirazione da Shining, The Ring e Il villaggio dei dannati, shakerati in un curioso mix, si presentava tuttavia come un dignitoso prodotto di genere, impreziosito dalla presenza di un buon cast (Ethan Hawke e Vincent D’Onofrio). Era lecito attendersi un sequel, meno attendersene uno così privo di appeal. Ciaran Foy, con a disposizione un budget molto ridotto, lascia intuire da subito di non avere il controllo di un progetto male assemblato.
La coazione a ripetere del secondo episodio smarrisce il senso alla base del suo predecessore rifugiandosi in una morale ambigua sull’estetica della violenza. Foy insiste sul tema del Super8 e della necessità di rivedere e rifilmare per poi passare all’azione: un tema vagamente metacinematografico che si sposa con l’inquietudine pre-adolescenziale, ma le suggestioni sono accennate e mescolate senza costrutto e senza preoccuparsi di chiarire il simbolismo (al di là del fascino vintage, perché il Super8 e non una definizione più alta?). Forse in mani migliori e con una sceneggiatura più curata (i buchi nello script di Derrickson e di Cargill, autori del primo capitolo, sono innumerevoli) Sinister 2 avrebbe potuto fornire spunti stimolanti, ma la gabbia del franchise blocca ogni forma di evoluzione. Bughuul si rivela un villain incapace di penetrare nell’immaginario degli appassionati e di affiancare i vari Freddy Kruger, Michael Myers e Jason Voorhees in un pantheon ideale, almeno quanto il detective privo di nome So & So, che pare quasi un Alan Smithee degli indagatori dell’incubo.
La necessità di ricorrere a espedienti che consentano al demone, attraverso la riproduzione della sua immagine, di accedere al mondo reale porta a scene forzate e dallo scarso impatto orrorifico, come l’apparizione attraverso il laptop o attraverso una vecchia radio (in cui anche la sospensione dell’incredulità si ferma di fronte a ostacoli insormontabili). Il look tra death metal e Michael Jackson di Bughuul e gli accenni timidi a una deriva comica di So & So, non si sa quanto volontaria, non aiutano di certo. Sprecata la Shannyn Sossamon di Le regole dell’attrazione e Road to Nowhere. Tutto considerato, e con buona pace di Bughuul e della sua tendenza a varcare cancelli dimensionali, sembra difficile che il secondo episodio di Sinister possa agevolare la longevità di un franchise che pare morto prima di cominciare.
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