Jimmy Conlon è un ex killer di origini irlandesi tormentato da innumerevoli sensi di colpa che cerca inutilmente di annegare nell’alcol. Il figlio Michael non vuole avere nulla a che fare con papà nel tentativo di creare per sé e la propria famiglia una vita perbene. Ma il destino complica le cose mettendo Michael a confronto con Danny, il figlio criminale e tossicodipendente del boss della mafia irlandese Shawn Maguire. Shawn è anche il capo di Jimmy e suo amico fraterno: entrambi appartengono ad una generazione entrata nel crimine più per mancanza di alternative che per scelta, entrambi sono legati ad un codice d’onore che la generazione dei loro figli ignora o disconosce.
Jaume Collet-Serra, regista spagnolo quarantenne prestato a Hollywood, prosegue nella sua canonizzazione della figura di Liam Neeson come eroe riluttante il cui senso di colpa sembra insito (cinematograficamente parlando) nelle origini cattoliche dell’attore. Il personaggio di Neeson è massiccio e dolente come lo era nei due precedenti film diretti da Collet-Serra che l’hanno visto protagonista, Unknown – Senza identità e Non-Stop: una caratterizzazione così aderente al look consumato e alla recitazione afflitta di Neeson che l’attore sta diventando l’archetipo cinematografico del penitente cattolico in cerca di perdono (vedi il recente La preda perfetta).
La sceneggiatura di Brad Ingelsby, già autore de Il fuoco della vendetta, insiste sulle tematiche del peccato e della redenzione creando un racconto d’atmosfera sporco e fallibile che ben si adatta alla cifra registica di Collet-Serra e del direttore della fotografia Martin Ruhe. Le scene d’azione sono il punto di forza del regista spagnolo (memorabile quella dell’incidente che dava l’avvio alla vicenda di Unknown) e la New York che racconta è quella romantica e corrotta dei romanzi polizieschi, cui si perdonano alcune implausibilità della trama: sembra che Manhattan sia un villaggio in cui tutti si imbattono per caso gli uni negli altri e la gente va in giro coperta di sangue e di lividi senza che nessuno ci faccia caso.
Secondo i codici (e i manierismi) del genere, Run all Night tuttavia funziona come prodotto medio di entertainment con qualche guizzo estetico e qualche riflessione etica: sul rapporto fra padri e figli, sulla necessità di interrompere il ciclo della violenza (senza però esimersi dal mostrarla a piene mani) e sul fare ciò che è necessario, anche quando non ci piace.
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